Intrattenimento

Westworld: un gioco violento per una fine violenta

Se vi venisse chiesto di trovare il legame tra l’attore che negl’anni Cinquanta rese sexy il capo rasato, Yul Brynner (“Alla Yul Brynner”) e una delle serie rivelazione del 2016, Westworld, quanti in tutta sincerità saprebbero trovarlo? Lo scopo di quest’articolo non è soltanto quello di parlare della succitata serie ma anche di colmare questa grave lacuna in tutti i lettori. Con l’inizio della seconda stagione ci sembra doveroso rinfrescare la memoria rattrappita per godersi a pieno l’insieme di citazioni, enigmi, indizi che vengono sparsi nel corso dei dieci episodi, ma andiamo con ordine.

Westworld – Dove tutto è connesso è una serie tv statunitense ideata da Jonathan Nolan e Lisa Joy per la HBO e basta sul film del 1973 “Il Mondo dei Robot”. La serie ha debuttato 2 ottobre 2016 portandosi dietro un cast di tutto rispetto che solo per aspettative avrebbe dovuto superare qualsiasi altro concorrente. E così è stato.
La storia è ambientata in un maestoso parco a tema western dalle vaste lande deserte e dai panorami che tutti gli amanti del genere hanno imparato ad amare. Questo parco è abitato completamente da androidi, del tutto identici agl’esseri umani, in cui i visitatori possono immergersi completamente nell’esperienza e fare qualsiasi cosa desiderino senza preoccuparsi delle conseguenze fisiche o etiche sia sulle persone che sulle cose. Tutto quello che si trova alla fine del treno (mezzo di accesso al parco) è stato messo lì per i clienti, per i visitatori.
Il tutto continua imperterrito per anni finché la serie, naturalmente, non inizia e cominciano i primi problemi che porteranno le persone-macchine a dubitare della realtà artificiosa che lì circonda e a costruire lo scheletro narrativo che è tutta la serie.
La serie tv prende l’ossatura del film del 1973, già avanti per idee ed effetti, e decide di imboccare una strada completamente diversa con tempi diversi. Si perché seppur la base di partenza sia simile una volta conclusa la visione dei due prodotti, essi ti lasciano due esperienze completamente diverse.
Il padre, Il Mondo dei Robot di Crichton, è composto da un enorme parco diviso in tre aree tematiche: il Vecchio West, il Medioevo e l’Antica Roma. Stessa popolazione di androidi e stessa esperienza offerta ai facoltosi clienti ma ben presto questo posto idilliaco si trasformerà in un inferno di sangue e morte. Perché con il padre si affronta per la prima volta il tema della macchina che si ribella all’uomo, per la prima volta si sentirà parlare di virus e come per tutte le prime volte di successo si trasformerà in un cult (della fantascienza). 
E, per rispondere alla domanda iniziale, il film viene dominato dall’immensa presenza di Yul Brynner, nei panni dell’inarrestabile pistolero-robot che anticipa di anni le mosse dei letali killer senza emozioni. In un periodo in cui la sua carriera sembrava sul viale del tramonto, questo ruolo arriva a pennello dicendogli: “Ehi, rispolvera il costume di Chris Adams (da i Magnifici Sette). Ti diamo meno battute ma dovresti farcela.” 
E cosi è. La camminata lenta, pesante e minacciosa unita allo sguardo glaciale sono le caratteristiche della determinazione omicida delle macchine contro i padroni, dando al film il giusto antagonista.
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L’idea era buona, valida e così il figlio, la serie tv, prende un pezzo dell’eredità paterna e parte da lì. La serie si focalizza solo sul primo parco, concentrando tutte le vicende in esso, e facendo presagire solo nel finale la presenza di altri scenari. Già dalla prima puntata veniamo accompagnati nelle storie dei personaggi e nel complesso mosaico di trame che si costruisce nel parco, sia in termini spaziali che temporali. La bella dama in difficoltà, il prode cowboy che dovrebbe salvarla, l’uomo in nero, la prostituta che gestisce il bordello o il creatore che mira a nuovi traguardi percorrendo vecchie vie sono solo alcuni dei personaggi che incontreremo nel corso della serie. 
Ma Westworld è ben più di un parco a tema dove si può torturare, scopare e uccidere a volontà. È ben più della scintilla che innesca la rivoluzione delle macchine contro gli uomini. Tutti gli episodi insieme raccolti rappresentano un viaggio, un viaggio per ognuno dei partecipanti al grande gioco.
E la parola viaggio è da leggersi sotto ogni possibile sfaccettatura che possa assumere: da quello concreto, a quello astratto, a quello di conoscenza fino a quello per la libertà. Perché se il primo episodio rappresenta il punto di partenza, l’avvicendarsi nel parco “labirintico” porterà ben altre persone all’arrivo. Molti hanno perso la via all’interno del parco, è questo il monito che la serie ricorda.
E a guardarsi indietro i fortunati vedranno uno splendido panorama o un luogo terribile, a seconda dell’esperienza vissuta, in cui gli esseri umani metteranno a nudo la loro natura mentre gli androidi dovranno fare i conti con un’auto-consapevolezza e una libertà ancora troppo giovani per poter essere spiegate.
In conclusione la prima stagione di Westworld si è dimostrata trionfale sotto tutti i punti di vista, a partire da quello visivo fino a quello narrativo, con un cast che esalta e convince, in cui nulla viene dato per scontato e dove i colpi di scena sono dietro l’angolo, lasciandoci in grado di sperare in una seconda stagione che riprenda tutte le fila lasciate in sospeso e si prepara a tirarle con forza ricordando sempre il suo obiettivo: «una fine violenta per un piacere violento».

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Mattia Russo

Laureato in Comunicazione, Marketing e Pubblicità per farla breve, e aspirante giornalista. Curioso per natura, dalla vena impicciona, tendo a leggere qualsiasi cosa, con un'inclinazione al fantasy. Non sono uno che ama i silenzi e parlo troppo. Pace.

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