Se siete cresciuti anche voi guardando e riguardando i classici Disney fino a consumare i nastri delle videocassette, quando uscirete dal cinema non avrete l’impressione di aver visto un film nuovo.
Il live action diretto da Jon Favreau sembra ricalcare quasi completamente l’omonima pellicola di animazione del 1967. Colonna sonora compresa. I due film sono talmente simili che alcune scene risultano praticamente sovrapponibili, discostandosi in parte solo nelle sequenze dello scontro finale tra Mowgli ed il suo arcinemico, la feroce tigre Shere Khan.
Punto forte della pellicola è invece l’estrema cura dedicata all’aspetto visivo. Il lungometraggio è stato infatti girato completamente all’interno dei teatri di posa dei Los Angeles Center Studios, nel pieno centro di Los Angeles. E se pensate che questo sia un errore, vi sbagliate. Tutti gli aspetti visivi del film sono stati affidati alla Moving Picture Company (MPC) ed alla Weta Digital, che hanno impiegato le più recenti tecniche di innovazione in campo cinematografico, come il rendering fotorealistico e la motion capture, fotografando e riproducendo alcuni dei luoghi più inaccessibili e meravigliosi dell’India, come riferimenti in post-produzione per gli ambienti. Il risultato è una giungla rigogliosa e brulicante di vita, che avvolge letteralmente lo spettatore. Persino gli animali completamente costruiti in CGI risultano naturali, nonostante parlino ed interagiscano costantemente con il giovane protagonista, interpretato dall’unico attore in carne ed ossa, Neel Sethi.
Visto il lavoro di ricreazione di un realismo visivo così scrupoloso, ci si aspetterebbero anche dei toni più seri nel dipanarsi della trama, ma questi vengono persi puntualmente quando la colonna sonora sfuma nella riproposizione di brani delle canzoni del lungometraggio animato originale.
Chiunque abbia frequentato gli scout da bambino rimarrà deluso nel vedere il pitone Kaa dipinto ancora una volta come un nemico di Mowgli, mentre il doppiaggio italiano ci priva purtroppo anche dell’ipnotica voce di Scarlett Johansson e assegna a Bagheera un accento romanesco di cui avremmo fatto volentieri a meno. Mentre Magalli torna a stupire dopo il suo Phil in Hercules con un Re Luigi assolutamente all'altezza.
Nota interessante, il regista Jon Favreau afferma di aver voluto cambiare il genere di Kaa da maschile a femminile, perchè riteneva il film “troppo pieno di maschi” e di aver cambiato la specie di appartenenza di Re Luigi da orango a Gigantopiteco, poiché gli oranghi non sono nativi dell’india. Peccato che il Gigantopiteco sia una specie di enorme primate estinta circa un milione di anni fa. E chiunque sappia a quali altri lungometraggi abbia lavorato la Weta Workshop negli ultimi anni, non stenterà a riconoscere qualche somiglianza tra il grasso Re Luigi ed un certo Re dei Goblin, con tanto di gozzo ballonzolante.
I titoli di coda sono un piccolo gioiello: combinando l'elemento del libro (con un’abile strizzata d’occhio all’onnipresente libro che si apriva e chiudeva sulla fiaba nei classici Disney) a piccoli diorami dell’ambiente della giungla, che si sfogliano come un pop-up, mentre i personaggi animali interagiscono tra loro.
In conclusione, per quanto la pellicola possa essere un un pretesto per avvicinare a Il Libro della Giungla i bambini di oggi, strizzando continuamente gli occhi ai bambini di ieri, è più probabile che ottenga l’effetto di provocare negli adulti una forte nostalgia per il cartone animato della propria infanzia, mentre tutti gli ex-lupetti ed ex-lupette desidereranno rileggersi i libri di Kipling. Alla fine, per rendere attuale il remake di un film degli anni Sessanta, sembra sia stato fatto solo lo stretto indispensabile.
Consigliato ai veri nostalgici!
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