Ok ragazzi, è giunto il momento di farvi una piccola confessione.
Quando ero un piccolo gnomo senza barba, libero dal quello strato di desensibilizzato cinismo che contraddistingue il mio radioso broncio, non volevo certo fare il giornalista.
Diamine no, io volevo fare Batman. Un proposito che i miei genitori, piuttosto restii – immagino – all'idea di farsi accoppare in un vicolo buio, non hanno mai voluto assecondare, complice anche la fastidiosa assenza di zeri nell'estratto conto famigliare.
Non essendomi mai veramente arreso alla mia condizione di non-Batman (riuscite a darmi torto?), ho sviluppato un'insana passione per la ricerca investigativa, per le verità celate e, più in generale, per tutti i piccoli, lerci segretucci che si nascondono negli spazi oscuri tra gli strati della suburra metropolitana.
Come assecondare questa passione senza portare un'arma (non mi sono mai piaciute), prendere ordini (come sopra) e – dolorosamente – senza una Bat-cintura?
Esatto.
Diventare giornalista…una specie…diciamo un imbrattacarte, và.
Sulla strada per la cronaca nera (so che detto così sembra brutto, ma tant'è) mi sono trovato, giocoforza, ad occuparmi di una serie di “casi minori” che mi hanno permesso di stabilire due assiomi inalterabili sul lavoro giornalistico.
Numero uno: alla base di ogni storia incredibile c'è sempre (o quasi) un buon due litri di rosso solforoso.
Numero due: l'ignoranza fa più danni di una pioggia di lapilli del monte Fato.
A sostegno di questa teoria, voglio sottoporvi due casi “reali” che mi sono trovato a trattare durante i primi anni della mia carriera da scribacchino.
Così, giusto per istigarvi all'odio verso l'umanità.
Caso #1: Avvistato yeti sui monti Cimini.
Era una fredda serata invernale (premessa da noir anni '30) e un giovane licantropo si stava ghiacciando i quarti posteriori a causa di un repentino malfunzionamento dell'impianto di riscaldamento redazionale (proseguo decisamente anni 2000). Il responsabile della Nera, un tipo torvo che da anni rifiutava categoricamente di aderire agli usi del 21° secolo e munirsi di cellulare o computer, mi aveva chiamato per parlare con un signore che, a suo dire, era stato testimone di un fatto inspiegabile. Privo della peluria mandibolare e dello scetticismo cosmico che ormai mi contraddistingue, mi fiondai con interesse sul “caso”. Del signore in questione, che chiameremo Giancoso, mi colpì immediatamente l'aroma deciso, con note muschiate su un ricco bouquet di Barolo. Il signor Giancoso, di ritorno da un indefinito baccanale a bordo della sua auto, dichiarò di aver visto “un essere di bassa statura, molto peloso, che camminava in posizione eretta con un andamento inusuale e che, una volta attraversata la strada, si era dileguato nella boscaglia limitrofa”. A causa della tricotica apparizione, il signor Giancoso non aveva potuto evitare di asportare una porzione consistente della locale segnaletica stradale. Il 95% diciamo. La testimonianza era stata già riportata – nientedimeno – al CISU (Centro Italiano Studi Ufologici), i cui operatori avevano offerto sostegno al signor Giancoso, supportando la testimonianza con altre segnalazioni circostanziali che riportavano “visioni” più o meno compatibili con la sua.
E figurati.
Dopo aver raccolto la testimonianza per intero, ormai inebriato dagli effluvi etilici del signor Giancoso, non potei esimermi dal riportarla per iscritto, malgrado qualche – legittimo – dubbio sulla veridicità della storia in questione. Questo perché il mio caposervizio, nella sua infinita saggezza, riteneva che l'articolo avrebbe senza dubbio attirato l'interesse del pubblico. Certamente.
Morale della favola: due giorni dopo ci telefonò il membro di una associazione GRV (Gioco di Ruolo dal Vivo) affermando di essere lo “Yeti” dell'articolo.
Al momento dell'avvistamento il ragazzo indossava una pelliccia sintetica e accessori vari, il tutto per rendere più credibile il suo status di “orco barbaro”.
Smentita mai data e alcuni conoscenti ancora mi perculano.
Caso #2: UFO sopra l'Ipercoop.
Sempre inverno. Immagino che la natura “godereccia” del periodo festivo offra eccellenti incentivi epatici alla visione di ogni genere di stranezza. I testimoni, due ragazzi sui 25 che chiameremo Tonio e Cartonio (non ho fantasia per i nomignoli), dichiararono di aver “visto un oggetto di forma discoidale sospeso una decina di metri sopra il tetto” del locale centro commerciale che però, mentre si allontanava, “aveva assunto forma triangolare, probabilmente per effetto della prospettiva”. Colpito sotto la cinta dallo spiazzante – e inatteso – accenno alla deformazione prospettica, continuai a mantenere un piglio imperscrutabile (nel corso della mia carriera ho accumulato qualcosa come 500 ore di risate inespresse), mentre i due compadres mi raccontavano il seguito della loro incredibile avventura. Tonio e Cartonio, rapiti e confusi dalla visione celeste, avevano devastato col proprio veicolo l'aiuola centrale di una rotatoria, evitando accuratamente di denunciare il fatto alle autorità competenti. Schiacciato – come al solito – dalle discutibili politiche redazionali, riportai il fatto, cercando di essere il più possibile freddo e obiettivo, nella speranza di evitare il pubblico ludibrio.
Una successiva ricognizione – post articolo, ovviamente – determinò che l'Ufo altro non era che una delle luci del centro commerciale, peculiarmente intermittente e resa mobile dalla prepotenza della tramontana serale. Con tutta probabilità i due, complice un bicchiere di troppo, avevano deciso di rifiutare la logica rigidamente conformista delle rotatorie, finendo col radere al suolo un pezzo di verde pubblico. Per giustificare il fattaccio, Tonio e Cartonio avevano poi concordato una ricostruzione “credibile” dei fatti, sarebbe a dire la storiella dell'Ufo.
Nota positiva: i due furono costretti a pagare il danno all'erario.
Nota negativa: la loro versione è rimasta, giornalisticamente parlando, quella ufficiale.
Se avete seguito la mia rubrica negli ultimi mesi, probabilmente state aspettando che vi offra una qualche massima, un discorso contorto – spesso noiosamente autoreferenziale – per concludere al meglio questo mio viaggio nella memoria di orrori passati.
Ahimè, non è questo il caso.
Siamo sotto le feste, e il clima “sciallo” del periodo mi rende insopportabile il solito filosofeggiare.
Ma, visto che ci siamo, voglio azzardare una richiesta. Così, tanto per cambiare.
Se sotto le feste siete vi trovate per le mani un sacco di tempo libero, e non disdegnate un goccetto in amicizia, bé, magari evitate di andarvene in giro in macchina.
Grazie.
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Un altro articolo molto bello. Due consigli preziosi al prezzo di uno: non bere se si deve guidare, non inventarsi troppe balle quando ci capita qualche “incidente di percorso”. (Comunque complimenti per il tuo vecchio lavoro ad Amazing Papers, Paolino Paperino, detto “Paperotto” era certamente un tuo accanito lettore 😉 )
Grazie Angelo, lavorare per Amazing Papers sarebbe stato senza dubbio più divertente 😀