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47 Ronin: come non fare un film sui samurai

La storia dei 47 Ronin è una storia vera, successa in Giappone fra il 1701 e il 1703 (anno del seppuku fatto poi da 46 dei 47 uomini): certo, poi nel corso degli anni è stata tramandata in modo forse più epico rispetto ai fatti originali, probabilmente per mancanza di informazioni o per esigenze di trama durante le innumerevoli rivisitazioni che si sono susseguite. La prima è stata realizzata una trentina d’anni dopo le vicende reali nei teatri giapponesi del XVIII secolo. L’impatto di questa storia è stata talmente ampia da essere ancora oggi un simbolo di orgoglio del paese del Sol Levante, dimostrando l’estremo onore e lealtà degli antichi samurai giapponesi sempre fedeli al Bushido. Le tombe dei 47 ronin si trovano ancora oggi nel tempio di Sengakuji a Tokyo ed è meta di pellegrinaggio di molte persone. La vicenda ha subito molte trasposizioni cinematografiche, tutte giapponesi fin’ora, con approcci diversi: chi ha provato a fare un film il più fedele possibile ai fatti reali e chi magari ha sacrificato parte del realismo per enfatizzare il lato più epico di questi 47 straordinari uomini. Oggi passiamo ad analizzare l’approccio hollywoodiano a questo pezzo di storia del Giappone.

47 Ronin
di Carl Rinsch e sceneggiato da Chris Morgan, già autore di Wanted e alcuni Fast and Furious.  Sebbene le vicende narrate in questo film e molti nomi originali a grandi linee vengono rispettati, lo spirito della storia originale si perde in un bicchiere d’acqua. L’inserimento degli elementi fantasy presi dal folklore orientale: fra Kitsune, Tengu e stregonerie farà storcere il naso a molti amanti della cultura giapponese, infatti sembrano messi molto casualmente all’interno della pellicola tanto da stonare non poco con la narrazione. Sembra quasi che gli autori abbiano  aggiunto questi elementi per paura che il fatto storico originale non sarebbe interessato al pubblico occidentale. Ma la cosa peggio riuscita della pellicola non è nemmeno questo aspetto. Il punto per cui il film non ci ha proprio convinti è il voler raccontare una storia profondamente appartenente alla cultura giapponese, ma approcciarla con lo spirito di Hollywood. Spieghiamoci meglio, il film si prende troppo sul serio puntando a esprimere i valori del Bushido e raccontare una storia di lealtà tramite personaggi accennati nella caratterizzazione e soprattutto rovinandosi con trovate da film action medio (e mediocre) che fanno a pugni con gli alti  propositi della pellicola. Ad esempio siamo rimasti perplessi su diverse scene fra cui: i combattimenti sull’isola degli olandesi con tizi giganti deformi, samurai giganti inarrestabili alla Terminator, personaggi poco credibili nel contesto fra cui spicca proprio il povero Keanu Reeves

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Proprio l’attore canadese sembra messo li casualmente nella storia, con un background che fa storcere il naso in alcune parti: passa metà del film a venire insultato da tutti perché è un mezzosangue, la sua storia d’amore con la figlia del daimyo di Asano è inserita solo per far contento il pubblico e farlo appassionare di più alla storia, ma senza motivazioni troppo approfondite per cui debbano innamorarsi, inoltre nell’ultima parte del film diventa amico di tutti e ha pure i poteri. L’impressione che si ha durante la visione è che il povero Keanu sia stato messo in questa pellicola solo per aumentare il gradimento di un pubblico americano.  
Provando a dimenticare il “ispirato a una storia vera” e se fosse un film senza nessun legame con i 47 Ronin chiamato: “Camillo maggico samurai contro i mostri del Giappone“ non lo consiglieremmo comunque. Chi vorrebbe vederlo semplicemente come un action da serata con gli amici si ritroverà a fare i conti con una narrazione lenta e noiosa in molti punti e quando finalmente si arriva all’azione le coreografie dei combattimenti risultano  piuttosto blande e facilmente dimenticabili. Insomma è il classico film in cui vedete tutte le scene che sembrano belle nel trailer e poi ne rimarrete delusi perchè non riserva nessun'altra sorpresa.

47 Ronin è un film che non trova una sua identità: vorrebbe essere da una parte un film con tematiche profonde e dall’altra un action scacciapensieri, ma fallisce in entrambi gli obiettivi non riuscendo a soddisfare lo spettatore in nessuno dei due campi.
Una curiosità finale, non abbiamo ancora capito il senso di inserire in una delle locandine promozionali il tizio pelato e pieno di tatuaggi chiamato solamente "savage" nei titoli di coda, come se fosse un personaggio importante della trama, quando in realtà ha 5 minuti di scena ed è talmente inutile che non ci ricordiamo se moriva o veniva lasciato nel luogo in cui compare a marcire.

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